TEATROALLASCALA
L’orchestra è collocata in palcoscenico, sul fondo. La sua buca è stata chiusa per offrire maggior spazio di azione ai danzatori che si muovono anche in proscenio. Il pubblico è distanziato ampiamente e mascherato secondo le regole anti-covid, mentre i danzatori, tamponati precedentemente e negativi, ne sono finalmente privi. Ecco la ripartenza della Danza alla Scala. Con queste direttive la serata potrebbe sembrare fredda e rigida. Invece il Gala offre momenti di danza di grande emozione, riuscendo a far dimenticare il difficile momento. Lo spettacolo decolla dal secondo brano presentato, la novità creata per l’occasione dal coreografo Mauro Bigonzetti. Do a Duet è un passo a due femminile interpretato da Antonella Albano e Maria Celeste Losa. Due fisicità diverse che si compenetrano con ritmo dialogando meravigliosamente con l’orchestra. Poco adatto, invece alla serata così concepita, è il passo a tre tratto dal Corsaro, portato in scena da Martina Arduino, Marco Agostino e Federico Fresi, che ha anche risentito della lunga pausa. Chi, invece, è riuscito a calarsi con grande maestria nel personaggio, regalando al pubblico uno dei pezzi più belli della serata, è stato Claudio Coviello, nell’assolo che Rudolf Nureyev creò per se stesso nella sua versione della Bella Addormenta. Solo, al centro della scena, circondato dai musici, ha offerto una esecuzione struggente e d’alta classe. Frizzante è stato l’omaggio a Zizi Jeanmaire, recentemente scomparsa. E non tanto per il pezzo, la Carmen firmata da Roland Petit, rappresentata dalla celebre scena “della stanza”, quanto dall’intenso dialogo ben costruito dei due interpreti, Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko. Segue l’ étoile Svetlana Zakharova nella Morte del cigno, già presentata alla Scala. Brano che meriterebbe una lettura più morbida. Poi ecco Alessandra Ferri che con Federico Bonelli, principal al Royal Ballet, si prende la scena dell’intera serata. Danzano nel celebre passo a due tratto da Le Parc di Angelin Preljocaj. E’ una costruzione perfetta per i due interpreti, che ne sanno esaltare tutte le componenti, dolcezza, sensualità, aristocrazia – siamo nei giardini di Versaille. Un bel ritorno della Ferri alla Scala. Roberto Bolle ha poi chiuso la serata alzandone la temperatura con il suo Bolero, di particolare efficacia perché direttamente in relazione con il pubblico e non con il direttore d’orchestra, come Béjart l’aveva concepito. Ma allora, alla prima, in scena c’era una donna, la sensuale Dufka Sifnios. Aurora Marsotto Lascia un commento |
![]() Una civiltà nasce nel punto in cui una grande anima si desta dallo stato della psichicità primordiale di una umanità eternamente giovane e si distacca, forma dall’informe, realtà limitata e peritura di fronte allo sconfinato e al perenne. Essa fiorisce sul suolo di un paesaggio esattamente delimitabile, al quale resta radicata come una pianta. Una civiltà muore quando la sua anima ha realizzato la somma delle sue possibilità sotto specie di popoli, lingue, forme di fede, arti Stati, scienze; essa allora si riconfondecon l’elemento animico primordiale. Ma finché essa vive, la sua esistenza nella successione delle grandi epoche, che contrassegnano con tratti decisi la sua progressiva realizzazione, è una lotta intima e appassionata per l’affermazione dell’idea contro le potenze del caos all’esterno, così come contro l’inconscio all’interno, ove tali potenze si ritirano irate. Oswald Spengler, da “Il Tramonto dell’Occidente”, traduzione italiana edita da Guanda nel 1991 ![]()
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