TRITTICO ALLA SCALA
Lo rincorreva da tempo e ce l’ha fatta. Roberto Bolle sino al 23 marzo è in scena alla Scala con il celebre Bolero nella coreografia di Maurice Béjart. 16 minuti adrenalinici che hanno chiuso alla prima scaligera (naturalmente in sold out) il trittico contemporaneo (repliche sino al 5 aprile) con musiche di Mahler, Mozart e Ravel. La serata è stata dedicata alla danzatrice recentemente scomparsa Elisabetta Terabust (ma perché non dire due parole al pubblico? Dopotutto fu lei, all’epoca direttrice del Ballo, a nominare in scena primo ballerino Roberto Bolle, appena ventiduenne). Presentata all’inizio la creazione della coreografa americana, Aszure Barton, pupilla di Barishnikov, dal titolo Malher 10 sull’Adagio della Sinfonia n.10. Di grande fascino è la semplice scenografia del brano, dove ben si stagliano gli abiti morbidi e cangianti degli interpreti. Un bel gruppo, nel quale si notano Virna Toppi e Antonino Sutera, che si destreggiano con leggerezza nella dinamica coreografia, che chiede solo di interpretare la raffinatezza dell’Adagio n. 10. E’ seguita poi la più complessa e sostanziosa coreografia di Jiri Kylian, Petit Mort, su due Concerti per pianoforte di Mozart. Brano celebre sempre ben presentato dalla compagnia che vi sa mostrare tutta la sua forza interpretativa. Creato per sei coppie, emergono Nicoletta Manni e Mick Zeni e Martina Arduino e Christian Faggetti. Poi, solo pochi momenti di oscurità per montare in scena il grande altare rotondo e sistemarvi attorno la trentina di uomini, e la lama tagliente di un faro illumina la mano di Roberto Bolle. La ritmica melodia di Ravel inizia. In platea Luciana Savignano, che ne fu leggendaria interprete per sedici anni nella versione femminile. La coreografia vede la luce nel 1961 a Bruxelles, dopo il clamoroso successo della Sagra della Primavera. Fu creato da Béjart per Duška Sifnios e ha visto passare il testimone solo a interpreti feline che sapessero condurre il rito senza mai essere sopraffatte dal desiderio maschile. Stesso messaggio per la versione maschile che Bèjart volle per la sua musa, Jorge Donn, la quale ne trasse tutte le sfumature più profonde, mentre Patrick Dupond ne fu l’interprete più erotico. Abbiamo ricordato questi tre danzatori, ma altri ne furono interpreti e ancora più celebri étoiles chiesero a Béjart di metterle alla prova. Non sempre furono accontentate o spesso lo danzarono per una replica. Ora si cimenta Roberto Bolle, forse per la prima volta veramente emozionato in scena. Ha affrontando la prova affidandosi alla sua perfezione tecnica e stilistica, ricercando quell’animalità che gli è estranea, ma che è riuscito ad agguantare: alla fine con due movimenti di braccia, un colpo di testa e un lungo sguardo al pubblico. E’ stato un momento emozionante anche per il pubblico l’aver visto nei suoi occhi la consapevolezza di aver compreso il significato del capolavoro bèjartiano. Ora l’aspettano parecchie repliche per riviverlo sin dalla prima nota, senza infingimenti, sino al totale abbandono. Lascia un commento |
![]() “La parola Rivoluzione non è, per noi francesi, una parola vaga. Noi sappiamo che la Rivoluzione è una rottura, la Rivoluzione è un assoluto. Non esiste Rivoluzione moderata (…) Se pensassimo che questo sistema è capace di riformarsi, che può rompere da sé il corso della fatale evoluzione verso la Dittatura – la Dittatura del denaro – noi ci rifiuteremmo(…) Ma il sistema non cambierà il corso della sua evoluzione, per la buona ragione che non evolve già più; si organizza soltanto con lo scopo di semplicemente durare ancora un momento, di sopravvivere (…) esso pare sempre più disposto ad imporsi con la forza (…) a nome di una specie di forma democratica della dittatura.” Georges Bernanos (1888-1948). ![]()
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