ALLA SCALA
L’inaugurazione della stagione di Balletto del Teatro alla Scala, con l’avvento del nuovo sovrintendente Dominique Meyer, è stata affidata a una coproduzione con il Wiener Staatsballett dal titolo Sylvia su musica di Léo Delibes. Il balletto nacque per l’Opera di Parigi nel 1876 e alla prima fu solo la musica a ricevere grande interesse, mentre si dovettero attendere le versioni di Ashton (1952), di Neumayer (1997), di Morris (2014) perché la danza potesse avere la sua rilevanza. Manuel Legris, celebre étoile dell’Opera di Parigi oggi direttore a Vienna, ha trovato in questo titolo l’occasione per tuffarsi nel gran ballo alla francese, dove protagonisti sono l’elegante tecnica accademica e il gesto raffinato atti a creare un lungo divertissement: aderente, quindi, alla Amintadi Torquato Tasso, che il poeta italiano scrisse e rappresentò come intrattenimento nel 1573 per la corte estense nei giardini dell’Isola Belvedere sul Po. Nei versi di questo dramma pastorale Legris vi ha trovato ampio materiale per restituire a Sylvia la sua natura non solo di poema cortese, ma di celebrazione dell’Amore. Quell’Eros che sa sottrarsi alle leggi delle convenzioni. Naturale, quindi, che già alla sua creazione coreografica, si scelse Sylvia come titolo, più adatto a celebrare con il nome della protagonista il suo amore per Aminta, pastore che per il dolore della sua scomparsa si uccide. Ma non è un dramma, ha il suo lieto fine che puntuale arriva al termine dei tre atti, densi di tutte le possibili combinazioni tecniche che la danza sa offrire. Si susseguono assoli per Diana che vorrebbe Sylvia solo al suo servizio, per l’innamorata e astuta Sylvia, per lo sfortunato Aminta, per il furbo Orione, per Eros, l’Amore che tutto decide. E Legris di questo sovrabbondante materiale ne fa una gran festa -scelta molto aderente allo scopo iniziale del Tasso-, una festa per il Corpo di Ballo, prima quello di Vienna, ora quello del Teatro alla Scala, donando in tutte le numerose rappresentazioni, che si protrarranno sino al 14 gennaio 2020, importanti parti a tutti i danzatori. Ne è nato in palcoscenico un clima adatto alla competizione e alla gioia di danzare con spensieratezza i passi che si conoscono da anni, con la possibilità di rappresentarli al meglio. E così la Sylvia di Martina Arduino alla prima è parsa dolce e anche molto astuta, più lirica e sognante quella cristallina e perfetta di Nicoletta Manni, Maria Celeste Losa è una Diana risoluta, ma è l’Aminta di Claudio Coviello a strappare gli applausi più convinti. Danzatore dotato di grande preziosità tecnica, trova in questa parte la possibilità di esprimersi al meglio. Accanto a loro Christian Faggetti e Marco Agostino sempre in crescita, mentre Vittoria Valerio riluce di una sua emozionante presenza. Aurora Marsotto Lascia un commento |
![]() Una civiltà nasce nel punto in cui una grande anima si desta dallo stato della psichicità primordiale di una umanità eternamente giovane e si distacca, forma dall’informe, realtà limitata e peritura di fronte allo sconfinato e al perenne. Essa fiorisce sul suolo di un paesaggio esattamente delimitabile, al quale resta radicata come una pianta. Una civiltà muore quando la sua anima ha realizzato la somma delle sue possibilità sotto specie di popoli, lingue, forme di fede, arti Stati, scienze; essa allora si riconfondecon l’elemento animico primordiale. Ma finché essa vive, la sua esistenza nella successione delle grandi epoche, che contrassegnano con tratti decisi la sua progressiva realizzazione, è una lotta intima e appassionata per l’affermazione dell’idea contro le potenze del caos all’esterno, così come contro l’inconscio all’interno, ove tali potenze si ritirano irate. Oswald Spengler, da “Il Tramonto dell’Occidente”, traduzione italiana edita da Guanda nel 1991 ![]()
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