Cirque du Soleil
Una lunga passerella con un ampio spazio circolare al centro, tipico di un corteo che desidera prendere respiro, taglia l’arena del Forum di Milano Assago in due settori occupati dal pubblico. E’ l’idea del regista Daniele Finzi Pasca per questo spettacolo, “Corteo” del Cirque du Soleil presentato in questa breve tournée italiana. Spettacolo che debuttò nel 2005 a Montréal, allungando la lunga lista di successi di questa gioiosa espressione del nouveau circle, creato nel 1994 in Canada da Guy Laliberté. Due grandi velari, che ricordano i tendaggi dipinti dell’Opera di Parigi, separano il pubblico, lo nascondono per poi farlo apparire creando quel coup de théâtre che emoziona e favorisce l’applauso. Il corteo è un corteo funebre ma gioioso, trattandosi di quello, forse solo immaginato, da un clown. Nulla a che vedere però con il celebre spettacolo “Clowns” della stessa compagnia. Qui lustrini, coreografie complesse, esplosioni di ritmi e colori non ce ne sono. E’ un racconto quasi teatrale, sembra orchestrato da dietro le quinte da un clown, non protagonista, che ha dedicato a questo mondo l’intera sua vita. Bravo l’italiano Mauro Mozzani, peccato il suo accento bolognese che toglie l’apprezzata raffinatezza che riconosciamo al Cirque. Ma i numeri di acrobazia (con materassi trampolini, pali, scale, parallele e nastro) sono eccezionali e gli artisti (una cinquantina in scena e una cinquantina di operatori nei back stage laterali) mantengono l’altissimo livello tecnico di questa creazione. Alla fine emerge un dolce sapore felliniano per la parata alla quale partecipano le storiche maschere clownesche, al ritmo della musica riprodotta dal vivo dalle quattro piccole orchestre. Una macchina complessa, dunque, e perfetta che regala anche il sogno di volare in bicicletta verso il Paradiso al clown Mauro che ha fatto ridere e piangere il pubblico. E chi se lo merita di più? A. Marsotto Lascia un commento |
![]() Una civiltà nasce nel punto in cui una grande anima si desta dallo stato della psichicità primordiale di una umanità eternamente giovane e si distacca, forma dall’informe, realtà limitata e peritura di fronte allo sconfinato e al perenne. Essa fiorisce sul suolo di un paesaggio esattamente delimitabile, al quale resta radicata come una pianta. Una civiltà muore quando la sua anima ha realizzato la somma delle sue possibilità sotto specie di popoli, lingue, forme di fede, arti Stati, scienze; essa allora si riconfondecon l’elemento animico primordiale. Ma finché essa vive, la sua esistenza nella successione delle grandi epoche, che contrassegnano con tratti decisi la sua progressiva realizzazione, è una lotta intima e appassionata per l’affermazione dell’idea contro le potenze del caos all’esterno, così come contro l’inconscio all’interno, ove tali potenze si ritirano irate. Oswald Spengler, da “Il Tramonto dell’Occidente”, traduzione italiana edita da Guanda nel 1991 ![]()
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