ALLA SCALA
Alessandra Ferri è rientrata in questi giorni sul palcoscenico scaligero con Wolf Work, lavoro creato per lei tre anni fa da Wayne McGregor al Royal Ballet e che le valse il secondo Olivier Award. Qui si ripresenta con lo stesso partner, il bravo Federico Bonelli, principal al Royal. Il complesso personaggio della scrittrice inglese del primo Novecento, Virginia Wolf, ben le si attaglia e McGregor è abile ad affabularne la trama (lui che non è un coreografo avvezzo alla narrazione) districandosi tra scritti, romanzi, diari e vita privata della stessa autrice. Ne nasce un trittico che parte dal romanzo Mrs. Dalloway con un gioco di rimandi tra protagonisti e la stessa Wolf. Presenze più inquietanti che costruttive, dove gli scaligeri Timofej Andrijashenko, presto Romeo al Royal Ballet di Londra, e Claudio Coviello sanno ritagliarsi una bella interpretazione, mentre la Ferri sembra attendere altro. Il celebre Orlando, reso famoso, dall’omonimo film, occupa di prepotenza la seconda parte del programma affidato per intero al Corpo di Ballo del Teatro e soprattutto ai primi ballerini e ai solisti. Qui è una gara a mettersi in luce con acrobazie (la Manni) con sensualità (la Toppi) con potenza (Faggetti), ma tutti brillano dimostrando a McGregor la loro grande qualità a distreggiarsi nel suo vocabolario tra raggi laser, fumi e sapori Tudor. Chiude la serata una meditazione sulla fine della Wolf costruita secondo un disegno che segue l’andamento delle onde (riferimento al romanzo The Waves, specchiate nella proiezione cinematografica rallentata di un mare mosso). Qui McGregor offre un interessante impianto coreografico e il gioco delle onde in video riproposto dalle braccia e dai corpi dei danzatori è uno dei momenti migliori di Wolf Work. Anche Alessandra Ferri sente il fremito creativo e sembra più convincente la sua presenza anche grazie alla musica di Max Richter, che ossessiva e ripetitiva, sostiene l’azione, qui meglio che nei precedenti brani. Aurora Marsotto Lascia un commento |
![]() Una civiltà nasce nel punto in cui una grande anima si desta dallo stato della psichicità primordiale di una umanità eternamente giovane e si distacca, forma dall’informe, realtà limitata e peritura di fronte allo sconfinato e al perenne. Essa fiorisce sul suolo di un paesaggio esattamente delimitabile, al quale resta radicata come una pianta. Una civiltà muore quando la sua anima ha realizzato la somma delle sue possibilità sotto specie di popoli, lingue, forme di fede, arti Stati, scienze; essa allora si riconfondecon l’elemento animico primordiale. Ma finché essa vive, la sua esistenza nella successione delle grandi epoche, che contrassegnano con tratti decisi la sua progressiva realizzazione, è una lotta intima e appassionata per l’affermazione dell’idea contro le potenze del caos all’esterno, così come contro l’inconscio all’interno, ove tali potenze si ritirano irate. Oswald Spengler, da “Il Tramonto dell’Occidente”, traduzione italiana edita da Guanda nel 1991 ![]()
![]() Amisano Anna Razzi Armando Torno Arte Aurora Marsotto BALLETTO Bejart Bolle Brescia Carla Fracci Casta Corriere della Sera Crisi Cultura Danza Editoria Einaudi Fotografia Genova Gerardo Mastrullo Giselle Giuseppe Verdi Governo il Sole 24 Ore Lago dei Cigni libri Londra Mario Monti Milano Mostre Musica Nicoletta Manni Parigi Pittura Qui Libri Riccardo Muti Roberto Bolle Roland Petit Roma Rudolf Nureyev Tasse Teatro TEATRO ALLA SCALA Teatro alla Scala di Milano Teatro Strehler WP Cumulus Flash tag cloud by Roy Tanck requires Flash Player 9 or better. |