SUICIDIO ASSISTITO
Il caso del suicidio assistito del Dj Fabo ci induce ad alcune riflessioni che i giornali di carta non hanno fatto, o non conoscono, o che preferiscono evitare. Apriamo la “Divina Commedia” di Dante al primo canto del Purgatorio. Leggiamo: “Or ti piaccia gradir la sua venuta:/ libertà va cercando ch’è si cara,/ come sa chi per lei vita rifiuta”. Sono parole rivolte da Virgilio a Catone Uticense (custode dell’accesso al Purgatorio) per presentargli il sommo poeta fiorentino “cercatore di libertà”; quindi vi è un riferimento al suicidio del medesimo Catone, che scelse di togliersi la vita dopo la sconfitta nella battaglia di Tapso (46 a.C.), contro la possibile dittatura di Cesare. L’Uticense fu un personaggio che il Medioevo cristiano intese quale supremo esempio di difensore delle libertà, tanto da sacrificare la propria vita per esse. In Dante e in numerosi altri autori diventò modello di vita austera e dignitosa. E ancora la scuola degli stoici antichi insegna che è giusto rinunciare alla vita quando, continuandola, diventa impossibile adempiere il proprio dovere. Ne scrissero Cicerone e Seneca. Ma ancor più, rinunciare alla vita diventa lecito quando ci si trova davanti a una situazione insostenibile, impossibilitati a esercitare la propria libertà e a salvare la dignità che ci distingue dagli esseri bruti. Di questo hanno scritto Hume e, più recentemente, Jaspers. Qualcuno dirà che la vita è un dono e che non si ha il diritto di abbandonarla. Pur rispettando le idee religiose che sostengono questa tesi, ripetiamo con Giuseppe Prezzolini che “è uno strano dono”. E che questo dono nessuno l’ha chiesto ma in molti lo stiamo scontando. Lascia un commento |
![]() Una civiltà nasce nel punto in cui una grande anima si desta dallo stato della psichicità primordiale di una umanità eternamente giovane e si distacca, forma dall’informe, realtà limitata e peritura di fronte allo sconfinato e al perenne. Essa fiorisce sul suolo di un paesaggio esattamente delimitabile, al quale resta radicata come una pianta. Una civiltà muore quando la sua anima ha realizzato la somma delle sue possibilità sotto specie di popoli, lingue, forme di fede, arti Stati, scienze; essa allora si riconfondecon l’elemento animico primordiale. Ma finché essa vive, la sua esistenza nella successione delle grandi epoche, che contrassegnano con tratti decisi la sua progressiva realizzazione, è una lotta intima e appassionata per l’affermazione dell’idea contro le potenze del caos all’esterno, così come contro l’inconscio all’interno, ove tali potenze si ritirano irate. Oswald Spengler, da “Il Tramonto dell’Occidente”, traduzione italiana edita da Guanda nel 1991 ![]()
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