FOG ALLA TRIENNALE UniVerse: a dark crystal Odyssey. Di Waine McGregor. Fog Festival della Triennale di Milano.
Il direttore della Biennale Danza di Venezia, Wayne McGregor, ha presentato con la sua compagnia, al Festival Fog della Triennale di Milano, poi a Roma, UniVerse: a dark crystal Odyssey, un itinerario umano in un possibile metaverso. Coreografo inglese, da sempre molto attento all’utilizzo delle nuove tecnologie sceniche per la danza, qui ne fa un uso anche superiore alla richiesta artistica. Ma forse, è proprio il suo intendimento, quello di far intraprendere una nuova Odissea all’uomo, e alla sua specie, in senso contrario: un ritorno alla materia dalla quale è scaturito. Ispiratosi al film fantasy di Jim Henson, The Dark Crystal, nell’affastellamento dei quadri scenici, che velano sin troppo la coreografia, i vari temi legati allo sfruttamento del pianeta. La Natura sembra sempre abbia il sopravvento, eppure verso la fine a tre interpreti e a un solo albero viene offerta l’occasione del riscatto e qui, finalmente ecco emergere con potenza la danza di Mc Gregor, la sua ricerca più pura affidata soprattutto a un interprete della compagnia, Jasiah Marshall, un bellissimo danzatore delle Bermuda che ha iniziato -porta la sua biografia- lo studio a sedici anni, completandolo però, rapidamente, alla Alvin Ailey e diploma alla Rambert School. Gli studi ne hanno forgiato un danzatore, comunque di struttura classica, ma elegantemente morbido e sinuoso, capacità che gli hanno permesso di esprimere con chiarezza i passaggi difficoltosi sparsi tra le varie frasi coreografiche, in una successione musicale nitida. Insieme ai suoi due compagni di avventura di questo bellissimo pas de trois: l’australiana Rebecca Basset-Graham e l’inglese Jordan James Bridge -ma tutta la compagnia è molto interessante- Jasiah Marshal partecipa un vocabolario nuovo, pronto a rimescolare nuove istanze e nuove carte coreografiche. Aurora Marsotto ALLA SCALATre brani per quattro coreografi. È questa la composizione della serata contemporanea della stagione 2024 del Teatro alla Scala. Una serata dove protagonista è stato l’uso dell’effetto speciale, sia nella confezione scenografica e illuministica che in quella più prettamente coreografica e musicale. Apertura con Reveal del coreografo americano Garret Smith, formatosi anche come danzatore allo Houston Ballet, con un mentore di rispetto chiamato Baryshnikov. Ha proposto questo suo brano del 2015 rimontato per 12 danzatori scaligeri, tra essi Martina Arduino, Virna Toppi, Agnese di Clemente, Alice Mariani, Claudio Coviello e Marco Agostino. Molto interessante il tessuto musicale basato su due bei brani di Philip Glass, molto amati dal coreografo che lavora sulle opposizioni dell’animo spesso mal celati. Ne nasce un gioco coreografico dove si intuiscono le varie discipline della danza amate e praticate dallo stesso Smith, un ventaglio ampio di passi ben riprodotti dai danzatori, spesso offuscati però da fumi, luci e costumi penalizzanti, perché cercare il trash con quel tutù maschile? Anche il brano di chiusura firmato da Simone Valastro, di formazione scaligera, si avvale di intensi fumi che nascondono parte della coreografia e quella bella idea dello scivolo centrale che avrebbe potuto offrire molta originalità ai movimenti delle masse (più di trenta ballerini in scena), se solo fosse più visibile e fantasiosamente più usato. Ma qui c’è Nicola Del Freo, che ad ogni sua apparizione, catalizza plausi e attenzione. Al centro della programmazione si incastona Skew-Whiff, brano coreografato da una coppia, la spagnola Sol Leon e l’inglese Paul Lightfoot, provenienti dalla compagine olandese Nederland Dans Theatre, con mentori Hans van Manen e Jiři Kylián. E in Skew-Whiff c’è la vena dissacrante proprio di Kylian, per l’esuberanza dell’interpretazioni dei tre ragazzi e della ragazza eper la scelta del brano musicale, la celebre Gazza Ladra di Rossini. Si gioca velocizzando la perfezione stilistica classica attraverso una prova di forza tra due bravi danzatori (Darius Gramada e Rinaldo Venuti). Devono però lasciare la scena al terzo uomo (Navrin Turnbull) che rapisce l’attenzione per eleganza e fluidità di movimento, nonché per bellezza. Ma subito vengono messi all’angolo tutti e tre, nel celebre crescendo musicale, con l’arrivo di Maria Celeste Losa che gioca con la sua sensualità, sorprendendoli. E gli applausi sono assicurati. Repliche sino al 18 febbraio. Aurora Marsotto PROSA Teatro Franco Parenti di Milano. Boston Marriage. Regia di Giorgio Sangati.
Per un insolito David Mamet, tradotto da Masolino D’Amico per la regia di Giorgio Sangati, sorprendono le tre interpreti chiamate a misurarsi per Boston Marriage, in scena al Teatro Franco Parenti di Milano sino al 4 febbraio. Lo spettacolo è una grande prova teatrale d’alta scuola. L’espressione «Boston Marriage», in uso nel New England tra il XIX e il XX secolo allude a una convivenza tra donne economicamente indipendenti da uomini. Un ménage lungo e complicato tra una più anziana, Maria Paiato e una più giovane Mariangela Granelli, supervisionate da una apparentemente sprovveduta serva, Ludovica D’Auria. Dopo una pausa sentimentale, riparte la loro storia, ricca di ripicche, brevi abbandoni e subitanei ripensamenti, espressi in un linguaggio tenuto in equilibrio tra orpelli ottocenteschi e spinte progressiste. Stravagante e assetata d’amore Maria Paiato offre recitativi musicali, farsetti, crudezze espressive, di taglio quasi cinematografico, tutto un repertorio in crescendo d’alta recitazione. Le fa eco perfettamente Mariangela Granelli, ammantata di una giovinezza sfiorita ma indomita, che toglie con sicurezza la polvere della farsa, mantenendo il crescendo esilarante di uno scandalo che la cameriera D’Auria saprà poi afflosciare. Applausi calorosi. A.Marsotto |
“Nella vita le cose passano come nel gioco degli scacchi; noi ci facciamo un piano: questo però rimane subordinato a quanto piacerà fare nella partita all’avversario, e nella vita al destino”. Arthur Schopenhauer, “Aforismi sulla saggezza della vita”.
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