TEATRO ALLA SCALA
A Giselle, amatissimo titolo del repertorio romantico, è stato dato l’onore di riaprire la stagione 2021 per ora naturalmente in streaming. Ma a soli due mesi dalla nomina, Manuel Legris, già étoile dell’Opera di Parigi e dopo dieci anni di conduzione del Ballo all’Opera di Vienna, si è presentato con una particolare scelta, che anticipa una conduzione forte e determinata. Rimettere in scena la Giselle scaligera, ultimamente molto polverosa, poteva sembrare banale e poco vincente, ma Legris l’ha coniugata a molto altro e l’ha trasformata in un evento mediatico che ha ricevuto molto consenso dal giovane pubblico del web, ma anche dal più tradizionale e appassionato. Aurora Marsotto INTERVISTA
A pochi giorni dalla messa in onda in streaming del balletto Giselle approntato dal Teatro alla Scala in una particolare versione che andrà in onda il 30 gennaio alle ore 20 in streaming su Raiplay e sul sito del Teatro alla Scala, abbiamo intervistato Carla Fracci, chiamata dal nuovo direttore del Ballo scaligero Manuel Legris, come coach di primi ballerini. Sì, a lei è stata richiesta una master class per i protagonisti del balletto: Nicoletta Manni, Martina Arduino, Claudio Coviello, Timofej Adrianshenko, ma anche per Marta Romagna che sarà Bathilda e per tutti i danzatori della compagnia che parteciperanno al balletto. Questa serie di lezioni avvenute nelle sale del Ballo scaligero, sono state videoriprese e quindi anche queste andranno in onda. Sarà una importantissima testimonianza di come tramandare l’Arte dai Maestri ai Discepoli. Una buona idea che ha dovuto attendere l’arrivo del maestro Legris. Infatti è dal 1996, anno della sua Chéri, che la Scala non ha più richiamato Carla Fracci. Che esperienza é stata? Emozionante. Perché mi sono trovata davanti danzatori che conoscevo da quando erano piccoli e frequentavano la Scuola di Danza della Scala o come Claudio Coviello che era alla Scuola del Teatro dell’Opera di Roma o Timofej Adrianshenko che avevo apprezzato a un Concorso. Allora era un ragazzino ucraino arrivato da Riga accompagnato dalla mamma. Credo però che il mio arrivo sia stato emozionante anche per loro. Perché erano attentissimi ai miei consigli alle mie correzioni e mi continuavano a ringraziare. Mi sono commossa. Quali consigli ha dato? Naturalmente mi sono fermata con loro su tutti i particolari che trasformano una perfomance in una grande interpretazione. Ho detto loro di pensare ai gesti caratteristici del loro personaggio e al loro significato più profondo. In danza il gesto sostituisce la parola. Occorre anticipare il movimento con il pensiero e interpretare il gesto adatto al personaggio che siamo. Sì, chi siamo in quel momento. Entrare nel personaggio dalla prima entrata in scena è importantissimo. Io ho danzato più di duecento personaggi e ogni volta sentivo che dovevo essere diversa. Mi immergevo completamente in esso ed ero quel personaggio. Altro? Ho parlato dello stile e della differenza tra personaggi che all’apparenza paiono simili ma sono diversissimi. Non basta un tutù bianco lungo per danzare Giselle o la Sylphide. Giselle è diversa nell’interpretazione e nella tecnica da Sylphide. E soprattutto lo stile delle due eroine è diversissimo. Eppure entrambe indossano un tutù simile e hanno le punte e il loro atteggiamento è romantico. Tornerà alla Scala? Da come mi hanno accolto so che questa bella compagnia, i primi ballerini – ma per me sono tutti carissimi ragazzi- ne saranno contenti e me lo hanno detto e dimostrato e io sarei felice di trasmettere loro ancora tante e tante cose, che so che potrebbero essere preziose per la loro carriera. Aurora Marsotto
TEATRO ALLA SCALA
Trentun brani scelti nell’arco musicale di due secoli sono stati i protagonisti della serata-evento della Scala per la prima di Sant’Ambrogio 2020. Il tutto si è visto sulla rete ammiraglia RAI, con collegamenti esteri e in streaming. Molti i cantanti invitati dallo stesso maestro Chailly che hanno ricreato celebri pagine operistiche di Verdi, Donizetti, Bizet, Puccini, Giordano, Rossini. Ma Vittorio Grigolo, Rosa Feola, Juan Diego Florez, Carlo Alvarez, Placido Domingo e Roberto Alagna sono riusciti, nelle loro performance, a offrire particolari vibrazioni che hanno oltrepassato lo schermo, anche per la difficile posizione assunta dal maestro Chailly che dava loro le spalle. Ma non solo. Il regista Davide Livermore ha per ognuno creato delle particolari scenografie, di diversi registri, più tradizionali, più tecniche, ma senza nessun fil rouge che le legava. Nemmeno gli interventi chiesti agli attori hanno fatto da collante, anzi hanno ancora di più evidenziato quanto quasi tutto fosse preregistrato. E’ mancato quel dietro le quinte che in questa occasione, così ricreata, avrebbe vivacizzato l’offerta. Nessun elemento dava l’idea della diretta né la Carlucci né Vespa, che hanno introdotto e chiuso la serata, che forse avrebbe avuto maggior slancio se ci fosse stato solo Massimo Popolizio, dal piglio ottocentesco, così a suo agio tra i decori dorati del Teatro. La danza, ben presentata dal nuovo direttore Manuel Legris e da un pugno di primi ballerini, ha dato un forte impulso allo spettacolo a metà programma. Roberto Bolle ripresentava il suo celebre Waves di Massimiliano Volpini, che sempre affascina con le sue luminosità spaziali, come l’evergreen di Nureyev, quel passo a due dallo Schiaccianoci ben ballato da Nicoletta Manni e Timofej. Adrijashenko. Ma è stata l’unica novità della serata, il passo a cinque su musiche di Verdi coreografato da Legris, ha rapito l’attenzione. Ben costruito sulle capacità di Claudio Coviello, Virna Toppi, Martina Arduino, Nicola Del Freo, Marco Agostino, il brano è apparso fresco e vivace e le note di Verdi sotto la bacchetta di Michele Gamba, sono sembrate una piuma e una speranza di ritrovarci tutti a riveder le stelle, tutti insieme, artisti e pubblico. |
![]() Una civiltà nasce nel punto in cui una grande anima si desta dallo stato della psichicità primordiale di una umanità eternamente giovane e si distacca, forma dall’informe, realtà limitata e peritura di fronte allo sconfinato e al perenne. Essa fiorisce sul suolo di un paesaggio esattamente delimitabile, al quale resta radicata come una pianta. Una civiltà muore quando la sua anima ha realizzato la somma delle sue possibilità sotto specie di popoli, lingue, forme di fede, arti Stati, scienze; essa allora si riconfondecon l’elemento animico primordiale. Ma finché essa vive, la sua esistenza nella successione delle grandi epoche, che contrassegnano con tratti decisi la sua progressiva realizzazione, è una lotta intima e appassionata per l’affermazione dell’idea contro le potenze del caos all’esterno, così come contro l’inconscio all’interno, ove tali potenze si ritirano irate. Oswald Spengler, da “Il Tramonto dell’Occidente”, traduzione italiana edita da Guanda nel 1991 ![]()
![]() Amisano Anna Razzi Armando Torno Arte Aurora Marsotto BALLETTO Bejart Bolle Brescia Carla Fracci Casta Corriere della Sera Crisi Cultura Danza Editoria Einaudi Fotografia Genova Gerardo Mastrullo Giselle Giuseppe Verdi Governo il Sole 24 Ore Lago dei Cigni libri Londra Mario Monti Milano Mostre Musica Nicoletta Manni Parigi Pittura Qui Libri Riccardo Muti Roberto Bolle Roland Petit Roma Rudolf Nureyev Tasse Teatro TEATRO ALLA SCALA Teatro alla Scala di Milano Teatro Strehler WP Cumulus Flash tag cloud by Roy Tanck requires Flash Player 9 or better. |